Sito n° 33

Lapide Donda e Pezzoli

PERCORSO ITINERARIO ARTISTICO

 

 

Questa lapide ricorda i brutali assassigni avvenuti nel pomeriggio del 14 Luglio 1944. Durante quella mattinata, truppe nazi-fasciste a caccia di partigiani, saccheggiarono e incendiarono il paesello di Valzurio dove questi ribelli stazionavano da tempo. Fortunatamente la tragedia non aveva ancora avuto vittime, ma verso le 15:30 una serie si assassini deplorevoli ebbero luogo proprio qui dove Donda Gerino e Luigi Pezzoli trovarono la morte.

Ouando si pensava che, finalmente sazia di quello del povero Carmelo assassinato poco prima, la sete di sangue dei Tedeschi si fosse placata, ecco che invece si è fatta anche più avida. Raggiunto il ponte, come si è detto, dove sugli argini della roggia della Festi-Rasini s’erano già accaniti contro gli ostaggi rastrellati nella mattinata, i fascisti si imbattono per caso in un contadino, certo Pezzoli Luigi, un pacifico, semplice uomo di campagna, che altro non aveva mai chiesto alla vita che di vivere e lavorare tranquillo i suoi campi. Ma gli occhi di quei repubblichini accecati dall’ira e dalla sete di vendetta contro i partigiani che non erano riusciti a scovare nelle loro tane di montagna, non vedevano ormai che nemici in agguato ovunque spuntasse la sagoma di un uomo. Per cui anche quell’ignaro contadino altro non poteva essere che un partigiano. E per tale lo trattarono. Gli sparano addosso, lo feriscono, lo raggiungono e lo catturano sulla strada. Passava in quel momento, diretto ad Ardesio dove abitava, un giovane, certo Donda che portava in spalla un sacchetto di farina racimolata in pianura, per poterne sfamare la numerosa famiglia, almeno di polenta. È noto che in quei tempi, ai continui pericoli per la vita fisica, s’aggiungevano ovunque, specie in quei paesi di montagna, anche i morsi della fame per la penuria di viveri e i ristretti limiti delle tessere annonarie.

DONDA GUERINO (Mario) di ALFREDO abitante ad ARDESIO (Bg).

 

Nato il 17 ottobre 1915 e barbaramente ucciso quando era ormai “civile” al Ponte di Villa d’Ogna (Bg) il 14 luglio 1944 dai FASCISTI, reduci dall’incendio a Valzurio e da altri crimini commessi nella zona.

 

 

(Guerino stava portando a casa per la sua famiglia della farina acquistata nella Bassa Bergamasca quando venne fermato e ucciso da un suo amico con il quale era scampato dalla ritirata di Russia).

 

Foto archivio digitale Condiviso

PEZZOLI LUIGI abitante a Villa d’Ogna (BG).

 

Nato il 27 Dicembre 1885 e barbaramente ucciso quando al Ponte di Villa d’Ogna (Bg) il 14 luglio 1944 dai FASCISTI, reduci dall’incendio a Valzurio e da altri crimini commessi nella zona.

 

(Luigi venne ucciso mentre satva tagliando l’erba nel suo prato sopra il ponte)

 

 

Foto archivio digitale Condiviso

 

La preghiera del Parroco sulle salme

Sul posto s’era fatta frattanto una folla sgomenta di gente accorsa al richiamo degli spari e degli urli delle intimazioni dei nazifascisti. Alcuni degli astanti, presi dalla pietà per i poveri corpi delle due vittime, si prestarono per estrarli dalla roggia e li depositarono distesi all’imbocco del ponte. Fra i presenti c’era anche il Parroco di Valzurio, un prete semplice ma dal cuore grande, don Zaccaria Tomasoni.
Il buon Parroco, che era stato trascinato a viva forza da Valzurio al ponte e trattenuto come ostaggio insieme agli altri, riuscì a svincolarsi dalla stretta dei nazi-fascisti e a farsi largo tra la folla. Raggiunse il ponte e, davanti alle due salme coperte di sangue e straziate, si raccolse in preghiera, impartì l’assoluzione “‘sub-conditione” e, recitando una preghiera per le loro anime, impartì la benedizione fra la commozione dei presenti.

Avrebbe voluto trattenersi per accompagnare poi le salme dei due poveretti alla sepoltura, ma ne fu impedito dagli energumeni fascisti impazienti.

L’episodio suscitò grande impressione e chi vi ha assistito lo ricorda ancora con grande emozione.

Don Zaccaria Tomasoni, che con coraggio si è fatto avanti per impartire l’assoluzione e la benedizione ai due trucidati.

 

Diario di Guerra della RITIRATA di RUSSIA durante la II^ Guerra Mondiale, trovato in un quaderno scolorito e scritto di pugno dall’Alpino DONDA GUERINO:

 

SLOVIS 28/02/1943

Voglio in breve descrivere, come la famosa ed eroica Divisione Tridentina, si è aperta il cerchio eliminando così la sicura prigionia della quasi totale Armata Italiana.

E’ la sera del 17/01/1943, l’ordine di ritirata era già stato comandato nella piena convinzione di tutti di prendere posizione a Porgonnoia (Podgornoje). Tutta la notte, con temperatura bassissima, protetti dalle retroguardie, ci siamo ritirati con il quasi completo materiale, armi e munizioni ed al mattino si è alla predetta destinazione, ma con quale sorpresa? …Poche ore di riposo per riprendere la via della disastrosa ritirata. Infatti la sera del 18 si riparte; odine di avere con sé solo viveri, armi e munizioni abbandonando tutto il corredo e le cose personali. Si cammina poche ore poi fermi, perché il nemico ci ostacola il passaggio e lì prontati come pali, tutta la notte nella neve e col freddo superiore ai 30 gradi e per conseguenza incominciano i primi congelamenti. Viene l’alba e la colonna con più di 100 mila uomini si mette in marcia e la resistenza nemica viene spezzata dal famoso Batt. Edolo, lieve perdita di uomini; e la colonna si rimette in marcia, ma il materiale, specialmente gli automezzi, deve essere distrutto per l’impossibilità di farlo proseguire.

 

E’ notte del 19, ci concedono un breve riposo, ma ridestato dall’allarme; i carri armati Russi sono alle calcagna e qui la retroguardia deve combattere per salvare il grosso lasciando pure loro morti e feriti in mano del nemico. La colonna prosegue ma dietro la scia si deve vedere l’orribile tragedia dei congelati feriti e malati che devono essere abbandonati al destino per l’impossibilità di prestare a loro alcuna cura. E quanti ne ho visti a implorarci aiuto e da tutti solo uno sguardo compassionevole. Ma da nessuno essere aiutati, che orrore e quali scene di terrore, e colui che non ha visto non può farsene una idea, ma chi avrebbe potuto prestare loro aiuto? Ognuno deve lottare per la proprio vita senza, anche volendo, poter prestare aiuto al proprio compagno. E così si salvi chi può, si continua il triste cammino tra gelo, bufera e neve disturbati ogni tanto dai partigiani a da alcuni aerei.

Intanto sono passati 3 giorni ed il materiale, man mano che pure i quadrupedi soccombevano per la durissima fatica, veniva abbandonato.

Viene l’alba del 22 gennaio, vien dato l’allarme, sono i partigiani che mettono zizzania nella colonna lunga ancora più di 30 km. La testa divisa si incammina, ma ALT. I Russi ci aspettano e qui bisogna spezzare anche questa catena, questa volta tocca al Batt. Tirano, che con eroiche gesta ha saputo scompaginare un buon numero di soldati Russi lasciando anche da parte nostra diversi morti e feriti.

Proseguiamo con la giornata del 24 e forse la più triste e nera, per l’eccezionale freddo e bufera. Quanti in quel giorno dovettero soccombere perché, sprecato l’ultimo filo di energia si abbandonavano sulla neve trovando loro morte sicura per assideramento.
Per conto mio, grazie al Buon Dio che mi ha sempre aiutato, mi difendevo ancora benissimo non lasciandomi prendere dal freddo e facendosi coraggio con i miei compagni. A scompaginare ancora più la colonna erano Tedeschi e Ungheresi che con noi regnava il più perfetto disaccordo non trovandosi affatto, dato il loro carattere superbo e baldanzoso e anche con loro si ebbero diverse questioni distribuendogli qualche pugno e sonori schiaffi. Ma questo dimentichiamo forse era il sangue corrotto perché anche tra noi ci si capiva pochissimo. Continuiamo la nostra marcia che ogni giorno diventa sempre più terribile, dato l’esaurimento di forze, i congelati e ammalati erano in continuo aumento e per conseguenza lasciavano la colonna non avendo altra via da scegliere morire o darsi prigionieri rifugiandosi in qualche isba dei piccoli paesetti che nel cammino si incontravano. Se nei primi giorni la situazione era critica ora era diventata addirittura disperata. Ognuno di noi prevedeva una brutta sorte, ma ecco che il buon Dio ci ha donato una giornata calma e quasi primaverile, poche ore di marcia finalmente si crede di respirare, cercando riposo nelle diverse isbe del discreto paesino.

Ed ora viene il bello per la mia disavventura.

Mi trovavo con altri miei compagni in un isba quasi isolata, abbiamo mangiato discretamente bene, finalmente si poteva dire che si riposava ma aimè verso le due dopo mezzanotte un Capitano che era con noi mi dà la sveglia, perché? Partigiani in vista e in un attimo li abbiamo fuori dalla nostra casa. Urlano e nella loro lingua chiamano Magliaschi. Che ci rimaneva da fare? Difendersi per non essere offesi o per non rimaner prigionieri. Il Capitano impaurito si era rifugiato in un buco e più non parlava. Il Sergente Maggiore diceva di non sparare perché non avrebbero potuto entrare. Povero mago c’ho detto io, loro non entreranno si ma ci uccidono tutti dentro qua; infatti non ho ancora da finire di ripetere queste parole che una scarica di parabello viene a noi indirizzata, ma per fortuna colpendo nessuno. Qui la paura fu generale ma non ancora terminata che una bomba a mano rotto la finestra, è scoppiata in stanza ferendo uno alla gamba e un altro tutto il viso perdendo un occhio. Per conto mio me l’ero cavata con lievissime ferite, però il pastrano era ben foracchiato. Uno chiama “Donda son ferito”, l’altro ugualmente, ma come potevo aiutarli? Poi bisogna ben decidersi a difendersi infatti presi subito la decisione, impugno una carabina, ascolto da dove la voce partigiana proveniva e pum il colpo è partito e sento Ai! Ai! Uno è morto è fatta, tra me e me, e gli altri si allontaneranno ed infatti così lo era. Intanto si era fatto chiaro, spio dalle finestre e vedo la mia vittima e in distanza altri soldati, ma chi erano? Non si potevano distinguere da noi i partigiani perché anche noi talmente conciati da assomigliare tutti a loro. Ad ogni modo ho lasciato perdere e sistemati i compagni bisogna pensare a fuggire. E i quattro bei muli con la slitta i sacchi a pelo? Fuori a poca distanza sparano a gran carica dunque bisogna fuggire lasciando tutto il materiale, chiamandosi fortunato di non avere lasciato la vita.

Si raggiunge la colonna di marcia, disturbati dai tiri di mortaio che purtroppo han fatto molte vittime, diverse armi devono essere abbandonate e si prosegue, ma per quanto? Nikolajewka è in vista, importante nodo ferroviario e lì c’è il nemico forte di numero e di mezzi che ad ogni costo ci vuole prigionieri. Anche il nostro alto comando si trovava imbrogliato data la nostra scarsità di armi e munizioni ma la decisione fu presa abilmente. Avanti in massa ed in testa sempre l’eroico Edolo Reggimento Vestone Morbegno e in seguito tutta la massa della colonna. Ma quanti morti e feriti abbiamo lasciato in questo assalto, però i russi dovettero fuggire abbandonando le loro armi e lasciare libero il passaggio alla colonna. La città è conquistata e si riposa ripartendo il domani, quando si finirà ognuno di noi si domandava e tanti si sono lasciati lusingare di fermarsi preparandosi per la sicura prigionia.

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